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PARTITA A SCACCHI - Matto ! - L'incanto era rotto. Dei mormorii si elevarono nella sala. - Guarda ! il cittadino Robespierre ha meno fortuna agli scacchi che nelle altre partite più serie ch'egli gioca. - - Ma chi è, dunque, questo giovane che l'ha sconfitto a due riprese consecutive ? Finora non lo si era mai visto, qui. - Il primo dei due interlocutori alzò le spalle con indifferenza. Come sarebbe stato possibile interessarsi ad uno sconosciuto qualunque, in un tempo in cui ognuno si vedeva scomparire d'attorno, quotidianamente, i proprii amici l'uno dopo l'altro?... D'altra parte, in quel momento tutte le conversazioni si erano interrotte, poiché Robespierre accennava a parlare. - Ancora una partita ! - egli gridò. - E' da molto tempo che non m'incontro con un così abile avversario. - Il giovine bruno e delicato, che era seduto di fronte a lui, levò gli occhi verso il pendolo e scosse la testa: - Si fa tardi, cittadino - osservò. - Non importa ! si rifiuta forse qualcosa a me ?- L'insistenza con la quale egli aveva sottolineato l'ultima parola, la nota imperiosa che vibrava nella sua voce tuttavia flemmatica, sembrarono influenzare il giovane, il quale finì per acconsentire, ma come a malincuore. - Guarda: ecco la posta che ti propongo - riprese l'avversario estraendo dalla sua tasca parecchie pezze d'oro e facendole tintinnare nel depositarle sul tavolo di marmo. - No, no, per nulla al mondo vorrò vuotare la tua borsa, cittadino - riprese il giovine vincitore con una disinvoltura che divertì quanto contrariò il suo avversario. - Tutto ciò che io ti domando, se ancora guadagno, è che tu mi dia un esemplare della tua firma. E' la sola posta che mi sia grato accettare - Così dicendo, egli trasse un foglio, lo spiegò e lo adagiò sul tavolo accanto alla scacchiera. - Sia. - fece Robespierre, distratto. In realtà, egli non aveva proposto una scommessa che per trattenere il suo avversario la cui sicurezza l'aveva punto sul vivo. In materia politica, la sua impassibilità era divenuta proverbiale, ma, nel gioco, egli aveva le sue debolezze e gli riusciva penoso subire una sconfitta. Benché la notte volgesse al termine, vi era ancora folla al Café de la Régence. Evidentemente, tutti avevano l'impressione che fosse inutile cercare un sonno che si rifiutava di venire; poichè si era parlato più diffusamente del solito che, in quei giorni, i prigionieri erano stati destinati alle carrette e le carrette a Samson e alla ghigliottina. Il popolo stesso aveva finito per stancarsi di questa funebre monotonia. E allora, perché recarsi a riposare quando si sa che l'incubo vi attende ? Qui, al contrario, in questa sala dalle pompose decorazioni di marmo e di dorature, dove non abbondavano le discussioni più serie che non fossero nei riguardi di una partita caldamente disputata, era ancora possibile regalarsi l'illusione di una sicurezza relativa. D'altronde, Massimiliano Robespierre non sembrava dimenticare ogni considerazione esteriore per immergersi unicamente nella passione del gioco ? - Si crederebbe che il ragazzo abbia impegnato una fortuna di questa partita ! - esclamavano gli astanti, considerando con quale visibile tensione di spirito il giovane avversario di Robespierre concertava le sue mosse, seguiva attentamente con lo sguardo sicuro ogni fase del gioco, salvo che per alzare, di tanto in tanto, gli occhi verso il pendolo. Due ore, tre ore... Fra quanto tempo ancora il rotolare delle sinistre carrette avrebbe ripreso a risuonare sui lastricati ? Un rumore confuso si fece udire al di fuori, sulla piazza del Palais Royal. Oh ! qualcosa di molto banale: semplicemente qualche patriotta ubriaco che deambulava urlando: - Abbasso gli aristocratici -. Eppure, questo clamore, così abituale, produsse un singolare effetto su Robespierre, poiché egli trasalì improvvisamente all'udirlo. Era stato sorpreso in mezzo alle sue riflessioni, o piuttosto aveva presentito un avvertimento del giorno non lontano in cui questo grido di - Abbasso gli aristocratici - sarebbe diventato quello di - Abbasso Robespierre ! - Nondimeno, dopo un istante appena , egli si era già ricomposto, contrariato di essersi lasciato tradire momentaneamente così, lui, che si vantava di possedere nervi d'acciaio e, per dissimulare il suo dispetto, scoperse vivamente, troppo vivamente, uno dei suoi cavalli. Questa mossa imprudente doveva essergli fatale. - Matto ! - gridava nuovamente, cinque minuti dopo, il suo giovine avversario, con voce soffocata. Per la terza volta, Robespierre dovette dichiararsi vinto. - Tu volevi, se non mi sbaglio, un esemplare della mia firma... questo, volevi, no ? - egli domandò accettando la sua disfatta con una calma filosofica. Il delicato giovine tese verso di lui il foglio, con delle dita che tremavano un poco. Robespierre vi gettò sopra uno sguardo distratto, quindi, improvvisamente, la penna in mano, aggrottò i sopraccigli e appuntò vivamente gli occhi in viso al suo compagno. - Come ? - esclamò, concentrando su di lui quello sguardo acciaiato che tante volte aveva tenuto la plebaglia in rispetto. - Tu hai avuto l'audacia di beffarti di me ? Tu mi hai teso una trappola per farmi sottoscrivere un ordine di grazia in favore di un maledetto aristocratico ? Un'altra volta - egli aggiunse con un tono sarcastico - metterò i miei ultimi scrupoli in tasca e ti restituirò il foglio piegato. Sarà più sicuro, poiché tu sembri dimenticare un po' troppo che simili sotterfugi, quando sono sventati, possono talvolta costar cari a coloro che ne fanno uso. - - Ho sempre udito dire, cittadino, che sei un uomo di parola. - rispose il giovine senza lasciar scorgere la minima emozione. Il suo tono freddo e il suo atteggiamento impassibile provocarono su Robespierre una più viva impressione di quanto non avrebbero potuto fare le più eloquenti suppliche né le più arroganti risposte, e, due secondi dopo, il giovane vincitore, che non poteva credere ai suoi occhi, guardava con meraviglia le undici lettere scarabocchiate di traverso che costituivano quel nome onnipotente e che attestavano ormai la riuscita del suo tentativo disperato. - I miei complimenti per la tua sagacità, cittadino - gli gettò Robespierre alzandosi per prendere congedo. - Cittadina - rettificò laconicamente, sottovoce, il suo avversario, la cui figura si delineava più evanescente ancora sotto i primi bagliori dell'alba che trasparivano ai vetri. ********* Dall'alto della sua vecchia cornice, sospesa nella galleria degli antenati, l'avo contempla ancora i suoi discendenti. L'artista che ha dipinto la tela si è messo d'impegno del meglio per rendere il modello accessibile all'ammirazione della sua epoca insipida. Ma quando si guarda il ritratto della nonna remota che è di fronte a quello del nonno, ci si rende conto che gli occhi neri di lei hanno un'audacia e le sue labbra una piega risoluta che contribuiscono molto a spiegare la temeraria partita a scacchi ch'ella intraprese un giorno con Robespierre per salvare la vita a suo marito. (KATE BOGUE) Dalla rivista "Le grandi firme", quindicinale di novelle dei massimi scrittori, diretto da Pitigrilli (1°aprile 1934 - XII) Anno XI - Torino Numero 235 Lire 1,50 . |